Orazione ufficiale 4 – novembre 2021
Buongiorno a tutti, autorità, rappresentanti delle forze armate e delle forze dell’ordine, associazioni combattentistiche e cittadini.
103 anni fa si concludeva il 1° conflitto mondiale, che sconvolse l’Europa e trascinò l’Italia in una deriva che cessò soltanto nel 1945. Fu una guerra di cui tutti abbiamo conoscenza e che il lessico storiografico definisce “grande”, per gli stati coinvolti e soprattutto per il numero di vittime.
In Italia, la decisione di schierarsi per rivendicare i territori irredenti fu travagliata, fu presa dal potere esecutivo e solo in seguito approvata dal parlamento, che si adeguò. La gente comune era invece contraria, per diversi e ovvi motivi. Poi l’insufficiente preparazione militare, il fronte troppo esteso, la disorganizzazione, le condizioni inverosimili nelle trincee, i massacri durante le cosiddette “spallate”, adottate dal Comando di Corpo d’Armata, misero soldati e ufficiali di fronte a numerosi interrogativi.
La guerra si rivelava molto diversa da quella raccontata nei poemi epici. La tecnologia aveva modificato il concetto di eroismo, che molti identificavano con il disprezzo del pericolo: contro le nuove armi ben poco potevano il coraggio e l’abnegazione.
Alla fine delle ostilità la soddisfazione per l’Italia era stata guastata al tavolo delle trattative di pace e nacque l’espressione “vittoria mutilata”, che rende bene l’idea della mortificazione subita con il mancato riconoscimento del diritto di inglobare alcuni territori
Gli Italiani si sentirono privati di qualcosa, tutti un po’ ingannati e disillusi, in una parola “perdenti”, a fronte dell’enorme impegno messo nel conflitto e delle condizioni disastrose in cui sprofondò il Paese.
Per noi, così distanti nel tempo, questa guerra è soprattutto ciò che ne è stato scritto.
Come andarono le cose lo sappiamo dai manuali, dai saggi degli storici, dai memoriali, dalle liriche intense, come quelle di Ungaretti, incentrate sugli aspetti umani della vita di trincea, o celebrative, come quelle di D’Annunzio, che tuttavia nel suo memoriale “Notturno” dà voce al proprio profondo cordoglio.
Non tutti i ricordi della guerra hanno resistito al tempo o avuto successo.
Tra le cose rimaste in ombra, c’è il bel libro di Emilio Lussu “Un anno sull’altipiano”, il memoriale sulle operazioni militari della Br. Sassari, che, dalla prima linea sul fronte Carso fu trasferita sull’Altopiano di Asiago. Un libro che non ha avuto il successo che merita: tutti conosciamo gli episodi del Natale sul fronte francese e quasi nessuno, invece, l’angoscia che accompagnò la Br. Sassari nel Natale del 1916.
Citerò solo altri due libri, due romanzi dall’opposto destino. “Piccolo Alpino” di Salvator Gotta ebbe successo, parecchi decenni fa, è la storia di una ragazzo che segue un reparto di Alpini in guerra. Ora lo giudicheremmo diseducativo per la carica di odio che contiene. L’altro è “Addio alle armi”, il best-seller mondiale di Hemingway, pubblicato nel 1929, ma in Italia proibito, per il suo messaggio pacifista e diffuso solo nel 1948.
La bibliografia sulla grande guerra è sterminata. Non è però necessario leggere moltissimo, per capire chi furono i perdenti o i dimenticati.
L’obblìo è sceso anche su alcuni fatti, come la battaglia del Solstizio, ovvero dei giorni attorno al 21 giugno del 1918: eppure fu quella la battaglia decisiva, nella quale il fronte del Piave resistette.
Tra i soldati ci fu chi perse, con la vita, tutto ciò che possedeva. La tragedia dei corpi non identificati fu simbolicamente risarcita dal cerimoniale del milite ignoto. Degli altri rimasero i nomi, che si possono leggere su lapidi e nei viali delle rimembranze.
A Verbania, unione di una decina di comuni, i monumenti e i viali delle rimembranze sono diversi: Intra e Pallanza, ma anche centri più piccoli come Cavandone o Fondotoce hanno monumento e viale. Percorrerli e leggere i nomi di soldati o graduati sulle targhe fissate agli alberi è un’esperienza che lascia il segno, perché si vede che cosa ha fatto il tempo dei loro nomi.
Molti alpini del Battaglione Intra persero la vita nell’estate del 1915, durante la conquista della zona intorno al Monte Nero. La Quota 2163 fu ribattezzata “Monte Rosso”, perché conquistata con il sacrificio di moltissime vite, in uno scontro che durò 3 giorni! Una laconica lapide, fissata a una parete della chiesa di San Giuseppe a Intra dice brevemente “Monterosso” Combattimento alpino 19-21 luglio 1915. Il Btg. Intra in quei giorni perse 324 tra ufficiali e alpini: 80 morti e gli altri o dispersi o fatti prigionieri.
Tra i monumenti non celebrativi c’è questo di Pallanza, impostato sul tema del lutto. Con il suo gesto la figura di madre scolpita da Troubetzskoj nel 1923 sottolinea la perdita, il dolore. In quell’anno fu ancora possibile fare un monumento così. Dello stesso stile è anche il monumento di Vignone, dello scultore Laforet. Altri furono fonte di polemiche, come quelli di Stresa e Cannobio. In quello di Fondotoce è rimasto invece il messaggio di pace, che in molti altri simili fu cancellato: Ai caduti fondotocesi / compagni e cittadini eressero / aspettando il trionfo / della pace nel mondo.
Qualche anno dopo sarebbe stato impossibile scrivere così, perché un’opera come questa avrebbe gettato ombra sulla necessità, tutta politica, di giustificare le guerre che si stavano progettando. Ci sarebbe da dire anche sulla parola, “caduti”, un eufemismo dell’italiano, in altre lingue si dice memoriale di guerra o monumento ai morti”.
In questo di Pallanza la targa con i nomi è preceduta dalla brevissima frase “fummo soldati d’Italia”, con il verbo al passato remoto, che usiamo per ciò che è definito e non più modificabile.
Al fronte dal Verbano arrivarono due generali: Luigi Cadorna, noto a tutti, e Luigi Capello, nato a Intra da famiglia piccolo borghese. Avevano modi opposti di concepire la guerra e il rapporto con le truppe: Luigi Capello si rapportava cordialmente con i soldati. Nell’agosto del 1916 realizzò la conquista di Gorizia.
Intra e Pallanza, territori di retrovia, come ha spiegato bene una mostra organizzata dagli Amici degli Archivi di Stato, diventarono luoghi di cura, convalescenza e rifugio, ma le discussioni sulla guerra non mancavano. Anche sulla collina della Castagnola, a Villa San Remigio, nell’estate del 1916, due grandi artisti, discutevano anche litigando. Il futurista Boccioni, dopo essere stato al fronte come volontario, vi tornò alla fine per senso di responsabilità, perché la guerra in quel momento stava andando male. Quella decisione gli fu fatale. Il musicista Busoni, pacifista, considerava la guerra espressione di inciviltà e quindi in quegli anni poteva esprimere le proprie idee soltanto in privato.
Fu nella seconda fase del conflitto, dopo Caporetto, che emersero i sentimenti di appartenenza degli Italiani. L’ultimo anno di guerra fu per il Paese una prova di realismo e di dedizione, una scoperta dell’identità.
In mezzo alle polemiche sulla ritirata si trovarono anche i due generali: Capello, schierato a Caporetto, fu accusato di non aver opposto sufficiente resistenza, mentre non aveva ricevuto da Cadorna i rinforzi che per settimane aveva chiesto.
C’erano opinioni opposte anche sulla nuova linea del fronte. Nella zona occupata dagli austriaci migliaia di cittadini dovettero lasciare le abitazioni e divennero profughi. Tutto il territorio del corso superiore del fiume fu occupato.
La guerra la pagarono gli Italiani sia con le imposte sia con i titoli emessi dallo stato. Si moltiplicarono le raccolte fondi e le sottoscrizioni. I giornali locali scrivevano: “Una pace onorata e durevole non la si potrà avere che attraverso la guerra (…) E’ il nemico (…) che ci costringe a continuare la guerra per la nostra difesa”.
La cerimonia che oggi celebra le Forze Armate e il compimento dell’Unità d’Italia, si focalizza su un importante obiettivo politico raggiunto.
Anche in questo giorno però il pensiero va alle troppe giovani vite di cui la Nazione fu privata, alle morti inutili. Circa 600.000 furono le vittime civili e dei circa 650.000 soldati italiani morti, ricordiamo che il 20% è deceduto lontano dai combattimenti, per malattie, infezioni, per cause di servizio o disservizio o per conseguenze della diserzione.
Oggi il cuore di ogni città quindi deve essere come il quello del poeta Ungaretti, un cuore nel quale “nessuna croce manca” e che sa che quel disastro
poteva essere evitato, accettando i compensi territoriali proposti dall’Impero degli Asburgo.
Perdente, quindi, fu anche il presidente del consiglio Giovanni Giolitti, che vide troncata la trattativa, che avrebbe procurato “parecchio” all’Italia.
Altro perdente fu il papa Benedetto XV, che ebbe il coraggio di scrivere ai capi dei popoli belligeranti scongiurandoli di far cessare quella “guerra che ogni giorno più appariva come inutile strage”: non solo rimase inascoltato, ma quell’espressione fece coprire di obblìo il suo pontificato.
Nell’anno commemorativo della figura di Dante, siamo consapevoli che l’Italia nei secoli ha avuto un’identità soprattutto linguistica. La nostra è insomma un’identità culturale, che ha avuto ragione delle differenti matrici etniche degli abitanti della Penisola. Le nostre origini e il nostro passato avrebbero dovuto consigliare di usare bene la raggiunta unità, non certo di opprimere le minoranze dei territori conquistati.
Dalla festa di oggi scaturiscono alcune considerazioni:
..1 la guerra rappresenta la sconfitta delle trattative diplomatiche, ovvero la sconfitta della ragione, che dice che le esperienze che è meglio evitare vanno evitate; cosa che nel 1915 non è stato fatto;
..2 nei decenni successivi alla grande guerra una politica estera aggressiva ha reso vani tanti sacrifici, perché le perdite territoriali sul confine orientale dopo la 2^ guerra mondiale parlano chiaro;
..3 ciò sia di monito a tutti, affinché, prendendo esempio da chi da un errore sa ricavare delle opportunità, ci stringiamo attorno all’art. 11 della Costituzione;
..4 Sul concetto di “patria” si potrebbe discutere per ore. Qualsiasi definizione noi ne diamo, abbiamo l’impressione che si tratti di qualcosa che si condivide; i soldati di 100 anni fa lo condivisero, al fronte; ma nel dopoguerra, invece, non ci fu condivisione dei “vantaggi” avuti dal conflitto;
..5 Quella Patria, condivisa difendendo le trincee o conquistando le impervie montagne, avrebbe dovuto essere più giusta con gli umili che la difesero;
..6 Comunque per tutti ci fu l’esigenza di dare concretezza al ricordo dei caduti e di onorarli. Ed è ciò che anche oggi noi facciamo, ma senza esaltazioni, anzi con il rammarico per il potenziale umano della Nazione sacrificato per una causa di per sé giusta ma perseguita con un mezzo che riteniamo errato.
..7 Cerchiamo almeno, nell’impegno che stiamo vivendo in difesa della nostra salute e delle nostre vite, di ricordarci l’efficacia e il valore dei comportamenti condivisi, augurandoci che le Forze Armate facciano quadrato per la nostra sicurezza e per la Pace e augurandoci di avere come guida un esecutivo solido, ma soprattutto autorevole e saggio, che operi veramente nell’interesse di tutta la nazione.
(bozza non corretta)
Giornata delle Forze armate e dell’Unità Nazionale.
Programma celebrativo in collaborazione con le associazioni Combattentistiche, d’Arma e d’Onore.
Giovedì 4 novembre 2021 Pallanza Verbania.
- Ore 9,45 è previsto il raduno sul sagrato della chiesa di San Leonardo.
- Ore 10:00 messa in suffragio di tutti i Caduti in guerra.
- Ore 10,45 corteo diretto al Monumento ai Caduti, dove si terrà l'alzabandiera e la deposizione della corona. Sono previsti interventi delle autorità e l’orazione ufficiale di Paola Giacoletti.In caso di pioggia la manifestazione si svolgerà a Villa Giulia.
La cittadinanza è invitata ad esporre il tricolore ai balconi